Anche questa seconda serata inizia con organizzazione veloce, funzionale a dare a tutti gli artisti uguale visibilità e possibilità di esibirsi. Lo spettacolo sono loro, le canzoni, e i look con cui si presentano al resto dell’Europa: chi punta tutto sull’eccentricità come l'Austria, chi sulla vocalità preziosa come l’Estonia, chi su toni più leggeri (qualcuno direbbe superficiali) come l’Armenia o la Romania. Ma tutti cercano di emergere, distinguersi e soprattutto far divertire, con risultati non sempre ottimali, ma tutti ad alti livelli di professionalità.
Ecco una sintetica cronaca, con commenti personali e quindi assolutamente opinabili, scritta di getto prima di conoscere l’esito della serata, che mi limito a riportare in fondo all'articolo.
Le tre presentatrici, fanno gli onori di casa, stavolta inguainate in tre improbabili abiti monocromatici, mentre i due commentatori italiani, Gabriele Corsi e Mara Maionchi chiosano.
Apre lo show la Danimarca, Rani Petersen, introdotto da immagini di teatri dell’opera dei tre paesi (Ucraina, Danimarca e Regno Unito); nome d’arte Reiley, 27 anni e un recente passato in America, interpreta Breaking my heart… partenza di serata poco interessante, il brano non cattura, è frammentato; occasione infranta, come i cuori di cui canta. Anche se lui è seguitissimo su Tik Tok da dieci milioni di follower, qui non convince.
Armenia: Brunette con Future lover, si capisce subito che ha la stoffa, ha iniziato a cantare giovanissima, da bambina, qui si presenta da solista, ma è l’ennesima atmosfera di malore d’amore; brano orecchiabile, gradevole, in crescendo, inserto rappato, lei è una piccola guerriera con energia da vendere.
La Romania, con Theodor Andrei, giovane diciottenne con l’aria del ragazzo della porta accanto, nel brano D.G.T. (On & Off) parla di amori complicati, potere e attrazione fisica. Il completo giacca e bermuda rosa lo rende meno credibile che nel video ufficiale, ch avevo apprezzato molto, ma è dotato di grinta e di un timbro vocale interessante. Ironica colonna sonora di un film con James Bond?.
Estonia: Alika interpreta Bridges, un arrangiamento acustico, inizia voce e piano, melodia in pieo risalto, bella voce, estesa, sostenuta, dal colore un po' vintage, deve maturare... vedremo. Magari andrà verso Shinead o'Connor, o verso la bella voce dei Cardigans di Erase / Rewind (li avrà sentiti nella culla?). Brava, fra le migliori della serata.
Belgio: Gustaph con Because of you finalmente porta un po’ di energia e allegria pop funky, con un brano ben fatto, sicuramente si distingue; non resterà nella storia della musica ma sarà gettonatissimo in qualche remix. L’Arena di Liverpool gli ha dimostrato calorosa accoglienza; un irresistibile invito a muoversi e ballare. Bene.
Da notare che finora nei look dei cantanti il colore dominante è il rosa, forse perché parlano di storie d’amore? o ci sono motivi che mi sono sfuggiti… lo scoprirò.
Cipro che non ha mai vinto, affida le sue speranze ad Andrew Lambrou con Break a broken heart, brano privo di novità, sempre sul tema dei cuori infranti. Comunque pregevole la semplicità con cui si pone l’artista, che affida alla sua vocalità il compito di fare breccia in chi ascolta. La voce c’è, la costruzione del brano è forse un po’ semplice. Da monitorare..
Islanda: Diljá, la cantante atleta, amante del crossfit e della meditazione, con grande convinzione interpreta “Power”; coretti e drum beat anni novanta non mi fanno impazzire ma ammiro la voce che passa dal gorgheggio al graffiante con naturalezza. E corre qua e la sul palco senza perdere un solo fiato.
Grecia: Victor Vernicos canta What they say, giovanissimo, vestito come un boyscout, e l’ennesimo brano su amori che finiscono. La sua voce un po’ cupa, quasi calante, colora di malinconia un brano dove la ritmica ricorda il battito del cuore quando ci si innamora o ci si lascia. Poetico.
Polonia: Blanka, anch’essa giovanissima, con Solo porta l’atmosfera a livelli più giocosi, a partire dal ritmo iniziale; coreografia spensierata, da vacanze estive, incluso cambio di vestito al volo durante il balletto. Un po’ Britney un po’ Barbie.. Travolgentemente ballabile.
Slovenia: i Joker out invitano a cogliere l’attimo, con Carpe diem. Creano uno sfondo rock acustico compatto, di gusto anni ‘Ottanta, chitarra, batteria e basso sono trainanti; il front man è giovane e convincente. Forse nell’insieme sarebbe risultato più efficace cantato in inglese..
Georgia: la giovane Iru Khechanovi propone Echo. Suggestivo, con inserti etnici, deve la sua riuscita alla vocalità sognante dal timbro particolare, e alla grande estensione. Lei da sola sul palco tiene benissimo la scena, e mette in risalto la canzone; ha puntato tutto sulla complessità vocale. Chissà.
San Marino: Piqued Jacks con Like an animal finalmente ci regala un momento a zero pensieri. Chiaro da subito il messaggio: goditi la vita, qui si che è davvero Carpe diem. Chitarra elettrica, bad boy, pista da ballo, festa, afrodite. Un mix forte! Forse il timbro vocale non è particolarmente ricco, ma compensa con grande sapienza nel dosare l’intensità e le difficoltà ritmiche.
Austria, Teya & Salena con Who the hell is Edgar? creano un’atmosfera surreale, per criticare l’industria musicale. Chiamate un esorcista, per togliere lo spirito di Edgar Allan poe che si è impossessato di loro e della loro macchina da scrivere, e sta creando il tormentone di successo come richiedono le etichette discografiche... po-po-po-poe, there’s a ghost in my body, oh mio padre. C’è un altro messaggio, indiretto, non musicale: evviva le cantanti curvy! Hanno acceso l’arena.
Albania: il gruppo familiare numerosissimo Albina & Familja Kelmendi con Duje (“Ama”), parla di una coppia che si sta separando. Echi etnici, arrangiamento che ammicca al folklore, ritornello più orecchiabile e malinconico. Casadei dell’Albania? Belli i vocalizzi, flauti e tamburi.. Potevano anche osare di più. Apprezzabile perché diverso dagli altri e soprattutto perché cerca di valorizzare l’identità dei suoni della terra d'origine..
Lituania: Monika Linkyte con Stay sfoggia una voce dapprima delicata, sussurrata, con l’eco rappresentato sul palco da quattro coriste, ripete come un mantra una formula “nonsense” (“sciuto-o-tuto”) usata per rivolgersi agli spiriti della natura; poi esplode in intensità e altezza. Brano di ottima fattura, forse troppo lontano dagli ascoltatori?
Australia: i Voyager con Promise chiudono la serata con un bel rock energetico, con un pizzico di dark; l’assolo finale della chitarra elettrica ricorda certi passaggi dei Genesis. Si puo’ solo dire bravi, bravissimi, bello, uno fra i brani più dinamici e interessanti della serata, meritevole di successo a mio personalissimo parere. E anche uno dei pochi in grado di reggere il confronto con i Big Five, che in questa edizione hanno dei pezzi davvero forti.
Alla fine delle sedici esibizioni, durante il televoto, lo spettacolo prosegue con un divertente momento, dominato dallo show di drag queen che indossano abiti identici alle tre presentatrici, e propongono cantando lo spirito di questa edizione dell’Eurovision: ciascuno puo’ essere quel che vuole, uniti dalla musica, insieme siamo piu’ forti.
Per dovere di cronaca, ecco le dieci canzoni che (con qualche sorpresa, per quanto mi riguarda) accedono alla finale:
Albania: Albina & Familja Kelmendi (Duje)
Cipro: Andrew Lambrou (Break a broken heart)
Estonia: Alika (Bridges)
Belgio: Gustaph (Because of you)
Austria: Teya & Salena (Who the hell is Edgar?)
Lituania: Monika Linkyte (Stay)
Polonia: Blanka (Solo)
Australia: Voyager (Promise)
Armenia: Brunette (Future lover)
Slovenia: Joker out (Carpe diem)
Prepariamoci, la finale si avvicina!
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