Los Angeles è un luogo strano. Per gli americani o la ami o la odi. È una città fatta di contraddizioni: si passa dalla povertà di alcuni quartieri (tipici di tutte le grandi città) all’estremo lusso delle ville di Beverly Hills e Malibu (tipiche e tratto distintivo della Città degli Angeli). È una città che ti fa assaporare il sogno americano, la bella vita in riva all’oceano e, anche se solo per averci camminato sopra, la sensazione di essere una star sulla Walk of Fame, ma allo stesso tempo è un posto perturbante, dove sai di non essere mai a casa, dove ognuno vive per sé; un luogo pronto ad inghiottirti in qualsiasi momento e portarti da una vita serena ad una vita di completa dissoluzione e annientamento in un batter d’occhio. Una femme fatale pronta ad amarti ma che dopo averti sedotto ed usato ti getta via.
È ciò che traspare da numerose tracce di svariate band californiane, un’ambivalenza che appare come la vera e propria essenza della città. Le storie di molte band originarie di L.A si sviluppano proprio in quella parte della città che in questi tragici giorni sta bruciando. E' inevitabile dunque, per gli appassionati di musica, pensare alle storie e ai brani che sono nati fra quelle strade, in quei quartieri, che oggi rischiano di essere annientati dagli incendi più devastanti della storia californiana. La fiamme sono arrivate a lambire luoghi storici dell’arte, del cinema e della musica, la maggior parte dei quali, per ora, sembrano salvi. È il caso della Villa Getty col suo museo dove il parco è andato in fumo, ma la villa con le sue opere risulta salva, o della torre della storica Capitol Records e dell’immenso negozio musicale dell’Amoeba Music. Ma anche il Dolby Theatre, il Chinese Theatre e l’Hollywood Bowl hanno corso il rischio di essere cancellati. Vengono sfiorate dalle fiamme anche le iconiche coste di Malibu, Santa Monica e poco più in basso l’eclettica Venice Beach.
Ed è proprio da qui, Venice Beach, che voglio far partire questo tour geografico/musicale dove oggi gli angeli sembra abbiano lasciato spazio all’inferno. Un racconto della città con la musica e le parole di chi l’ha amata, odiata, vissuta.
Era luglio quando calpestai per la prima e unica volta la passeggiata lungomare di Venice Beach e ricordo che al mio arrivo rimasi shockato. Era un luogo non luogo, così reale ma allo stesso tempo così irreale da non credere che potesse davvero esistere. Sembrava un parco giochi pensato appositamente per gli artisti. Li trovavi ovunque a recitare, suonare, cantare, dipingere in totale libertà. Ricordo un tizio che sembrava quasi uscito da un film su qualche strano sciamano voodoo se non fosse stato che andava in giro sui rollerblade: non più tanto giovane, petto nudo, pantaloni di quelli larghi di tela, turbante, un pitone al collo (vero s’intende)... Scene di questo tipo, da quello che avevo capito, erano nella normalità.
Ecco ora teniamo sempre il mese di luglio, ma facciamo un salto indietro di sessant’anni, nel momento di maggior successo delle sostanze psichedeliche e proviamo ad immaginare come doveva essere quell’ambiente. È l’8 luglio 1965 e doveva fare un caldo micidiale, mitigato dal vento che sull’oceano non manca mai. Il sole era alto nel cielo quando due compagni di studi s'incontrarono: Ray e Jim. Anzi, sarebbe meglio dire che Ray incontrò Jim, difatti quest’ultimo era intento a declamare le sue poesie scritte sotto l’effetto di chissà quali sostanze. Cominciarono a discorrere di poesia, dei poeti che avevano letto e del fatto che Ray volesse mettere in piedi una band e avere come cantante Jim, così che le sue poesie psichedeliche potessero diventare canzoni. Quest’ultimo citò dei versi di William Blake
«If the doors of perception were cleansed, every thing would appear to man as it is, infinite.»
(«Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinito.»)
A Ray venne subito in mente il saggio sull’uso della mescalina di Aldous Huxley intitolato proprio The Doors of Perception, dal quale ricavò il nome della futura band, abbreviato in The Doors.
Due anni dopo (1967) The Doors incisero il loro primo album. Quest’album ci porta ancora una volta nei luoghi flagellati dall’incendio, sia per lo studio di incisione, sia per il racconto nostalgico di alcune scene di vita nei dintorni di Hollywood e Santa Monica. L'album venne inciso presso il Sunset Sound Records situato ancora oggi sulla Sunset Boulevard, una delle strade più note e spettacolari di Los Angeles, in questi giorni quasi completamente distrutta dagli incendi. Con Soul Kitchen, seconda traccia del disco ci spostiamo invece a Santa Monica, leggermente più a nord di Venice Beach, precisamente all’incrocio tra la Ocean Park e la Main. Qui si trovava "Olivia’s", luogo che ispirò la canzone e dove, con tutta probabilità, Jim Morrison trascorreva lunghe serate, fino alla chiusura
Well, the clock says it's time to close now.
I guess i'd better go Now.
I'd really like to stay here all night.
The cars crawl past all stuffed with eyes.
Street lights share their hollow glow.
Your brain seems bruised with numb surprise.
Still one place to go.
Il clima che si respira in queste canzoni è sereno, a tratti nostalgico, nei confronti dei luoghi e della vita che scorre, quasi fossero immagini silenziose che scorrono su uno schermo.
Altri brani fanno da sfondo a queste storie, gran parte dei quali sono stati composti con tutta probabilità al Whisky a Go Go, uno dei locali più iconici di West Hollywood dove si esibirono numerosissimi artisti come anche i Doors. Questa zona di Los Angeles, in queste ore, è una di quelle messe più in pericolo dalle fiamme (le altre sono Pacific Palisade e Malibu e la città di Pasadena). Il rischio della distruzione di molti posti simbolici per la musica è ancora molto alto. Tra questi vi sono anche l’Hollywood Bowl, dove i Doors si esibirono il 5 luglio 1968 e da cui è stato registrato The Doors Live at the Hollywood Bowl, e la celeberrima Walk of Fame dove, vicino all’Hard Rock Café che ne conserva alcuni cimeli, vi è la stella ricevuta nel 2007 dai Doors.
Ma non si può non chiudere questa breve e assai lacunosa digressione sui Doors senza ritornare a quell’ambivalenza di cui si parlava all’inizio e con un brano che cita direttamente la loro città natale. Si tratta di L.A. Woman (la quale dà il nome all'album del 1971) che nonostante le provocazioni a sfondo sessuale dell’autore, nasconde in sè la doppia faccia della città. L.A. può essere una spensierata città della luce dove incontrare un fortunata signorina, oppure una città dove ci si perde (fisicamente e moralmente) diventando ben presto una città della notte e dell’oscurità. Quasi fosse già scritto che il paradiso americano sull’Oceano Pacifico dove dimorano gli angeli potesse trasformarsi da un momento all’altro in un inferno terreno.
Well, I just got into town about an hour ago
Took a look around, see which way the wind blow
Where the little girls in their Hollywood bungalows
Are you a lucky little lady in the city of light
Or just another lost angel, city of night...
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