Sting, storico cantante dei Police, una settimana fa ha pubblicato il suo nuovo singolo: I Wrote Your Name (Upon my Heart). Il brano è anche occasione per presentare la nuova formazione con cui il vincitore di 17 Grammy Awards intraprenderà il prossimo tour nordamenricano: Dominic Miller alla chitarra, Chris Maas alla batteria, Martin Kierszenbaum all'organo e, ovviamente, Sting al basso e alla voce.
Dietro questo brano, però, c'è di più. Esso ci racconta una storia e non è né la storia di Sting o dei suoi Police, né la storia d'amore cantata nel brano. E' una storia che attraversa due continenti e si perde a più di un secolo dai giorni nostri.
Questa storia è tutta racchiusa in un battito (un Beat), il cuore pulsante della canzone di Sting. Un cuore che non ha mai smesso di battere da quando i primi schiavi dall'Africa vennero portati negli Stati Uniti, dove, tra innumerevoli sofferenze e soprusi non si dimenticarono mai delle loro origini portando con loro cultura e musica. Con ogni probabilità si portarono dietro anche quello che ad oggi è conosciuto come Bo Diddley Beat, un ritmo sincopato che le ricerche musicali fanno risalire alle regioni dell'Africa sub-sahariana. Così, questo ritmo, come un granello di sabbia del Sahara solca l'Oceano Atlantico per posarsi in America, passando da un continente all'altro e attraversando persino la storia, per arrivare a noi.
Poco sopra, ho chiamato questo particolare schema ritmico Bo Diddley Beat.
Il nome deriva da Ellas Otha Bates McDaniel, in arte Bo Diddley, per l'ampio uso che ne fece all'interno dei suoi brani, ma riscontri di questo si trovano anche in diversi brani Blues incisi tra gli anni '40 e '50..
Molte volte questo ritmo è utilizzato come unica base di un brano, dove gli strumenti eseguono un unico accordo per tutta la durata del pezzo, lasciando che sia il puro e semplice ritmo a rendere l'eccitazione del brano. E' facile ipotizzare che dall'Africa questa linea ritmica sia arrivata ai campi di cotone degli Stati del Sud dove nei primi anni del secolo scorso si cominciava a formare quella cultura musicale che poi prenderà il nome di Blues e che sarà la capostipite di tutta la musica contemporanea. La sua versatilità probabilmente favoriva il suo utilizzo nei momenti di svago tra gli schiavi dei campi di cotone. Infatti, sebbene lo strumento musicale più comune fosse la chitarra, essa veniva utilizzata originariamente come semplice strumento ritmico (chi poteva permettersi di saper suonare tra la fine dell'800 e gli inizi del '900?). La chitarra sostituiva le percussioni, molto più rumorose, così da permettere agli schiavi di suonare e cantare senza farsi scoprire dai loro padroni. Ne segue che, in alcuni dei pezzi Blues che noi oggi ascoltiamo, gli accordi degli strumenti sono molto pochi (o addirittura solo uno) ripetuti per tutto il brano in maniera tale da creare un ritmo ossessivo, ritmo in cui l'unica variazione la fa la voce (un esempio di chitarra usata come solo accompagnamento ritmico può essere Cotton Fields di Leadbelly del 1940
Ben presto il "nostro" Bo Diddley Beat, grazie al suo andamento incalzante, entrò a far parte del linguaggio del nascente rock 'n' roll, come ad esempio nella celebre Not Fade Away di Buddy Holly uscita nel 1957. L'anno prima Bo Diddley registrava Who do you love?, inserita nell'album Bo Diddley del 1958. Who do You Love? è uno dei brani presenti nell'album costruiti intorno al Bo Diddley Beat
Il ritmo si fa strada nell'arco dei decenni successivi, diventando un must del rockabilly e in generale del vasto gruppo della musica rock, ed ecco allora che Sting compie un salto nel tempo e, dopo il suo ultimo album The Bridge (2021) caratterizzato da sonorità più pop, si presenta con una formazione molto più "classica" (voce/basso, batteria, chitarra e organo) regalandoci un sound "old school" assemblato con la sapienza che solo un polistrumentista ed esperto di numerosi generi musicali come Sting poteva mettere in campo.
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