top of page
17433604-words-from-magazines-form-a-colorful-background.jpg

”Psichedelica – La colonna sonora dei tuoi pensieri più liberi” , un mix travolgente firmato Daniente e Must Rush.


“Psichedelica” è il nuovo singolo degli artisti Daniente e Must Rush, uscito il 23 maggio.


Il brano, come suggerisce la copertina dell’album, evoca un’atmosfera vivace, creativa e anticonformista.

Partiamo dai due colori sullo sfondo in perfetto contrasto, il verde ed il rosso, che creano dinamismo ed una certa vibrazione magnetica; per non parlare della protagonista in primo piano con un’acconciatura sbarazzina, una fascia che raccoglie i capelli ed un vestito semplice che mette in evidenza i tatuaggi sulle braccia e l’espressione compiaciuta, complice e maliziosa che colpisce direttamente lo spettatore.

Sembra una ragazza con carisma, che sa osare e sfidare l’interlocutore con il fascino della sua presenza scenica.



- Perchè il nome d’arte “Daniente”?


Nacque per caso, nel 2017, quando dovevo scegliere un username per iscrivermi ad un social network. Non essendo un tipo da “nome.cognome.datadinascita”, quando mi accorsi che non mi veniva in mente niente ci fu proprio questa parola che echeggiava nella mia testa: "niente". Pensai di giocare con il mio nome e così Daniele è diventato "Daniente".

Sono sempre stato affascinato dalla capacità di giocare con le parole, un’arte che definisco "scivolosa" perché è molto facile scadere nelle banalità quando ti cimenti nei giochi lessicali. Allo stesso tempo, però, credo che in coloro che li utilizzano con stile e consapevolezza dimostrino sagacia ed acume, caratteristiche che cerco sempre di trasferire nella scrittura.

- Di dove sei e come la tua città ti ha influenzato artisticamente.


Sono nato e cresciuto a Catania. Ho vissuto lì fino ai 23 anni e, nonostante da quasi sette anni la mia città sia Bologna, sono catanese dalla testa ai piedi, figlio di papà Ionio e mamma Etna.

La Sicilia, dopo avermi cullato e protetto come un figlio, mi ha spalancato le porte del mare artistico di cui è pregna; mi ha fatto amare gli innumerevoli musicisti che vanta anche a livello internazionale, ma prima di tutto mi ha fatto conoscere le persone che lavorano nell'arte e nella musica dal basso. Le prime sale prove e i primi piccoli palchi li ho respirati lì, insieme a persone meravigliose con cui ho condiviso la mia musica e la mia scrittura fin da quando erano ancora ad uno stato embrionale.

Bologna ha fatto il resto, con una grande responsabilità sulle spalle nei miei confronti, e fino a questo momento è stata davvero splendida nell'accogliermi come una madre adottiva e nel farmi crescere umanamente ed artisticamente.

- Raccontaci il tuo percorso musicale dalle origini fino ad oggi.


La musica, in ogni sua forma, è sempre stata per me un'attrazione inspiegabile da che ne ho memoria.

La mia prima chitarra classica imbracciata a 12 anni è diventata dopo poco tempo una elettrica con cui essere un giovane metallaro. All'alba dei 16 anni, poi, arrivarono a gamba tesa il pop punk, la cresta moicana e la batteria: ero il batterista della mia band al liceo, gli Stop Motion, e già allora scrivevo anche qualche canzonetta per la band, in un inglese molto stentato.

In quegli anni ho anche conosciuto quello che oggi considero il mio fratello acquisito, Dave. Lui scriveva già canzoni in italiano, chitarra e voce come me. L'amicizia e la complicità musicale ci hanno condotti insieme a scrivere, produrre e pubblicare un disco indipendente nel 2018, che si chiama "Neglect", interamente creato da noi sotto il nome di DiQuadro.

Nel 2018 sono arrivato a Bologna ma, nonostante l'enorme fascino artistico di questa città, ho subìto il distacco dalla mia Isola in modo molto violento. Molto presto, questa violenza è diventata apatia: per quasi quattro anni ho smesso di scrivere canzoni. Ci è voluta la rottura di una lunga storia d'amore per farmi ricominciare a scrivere e, di conseguenza, a farmi tornare vivo davvero.

Tra il 2023 e il 2024 ho scritto tantissimo e, contestualmente, in questi anni ho conosciuto quello che adesso è il mio producer, Must Rush. Dopo una fase iniziale di studio reciproco, l'ammirazione artistica e umana è cresciuta fino a farci decidere di collaborare insieme ad un nuovo percorso, iniziato quest'anno a gennaio con il primo singolo, "Fluido".

- Quando hai capito che fare l’artista era la tua strada? C’è stato un evento in particolare che te lo ha fatto comprendere?


Credo che le "sliding doors", se così si possono definire, siano state due a distanza di tanti anni l'una dall'altra e di natura opposta fra loro.

1° maggio 2014, Catania, piazza Università. Il Concerto del Primo Maggio a Catania non sarà stato quello di Roma, ma quella sera in piazza ci saranno state duemila persone. Io ero il batterista degli Stop Motion, e come unico pezzo decidemmo di suonare una canzone scritta da me in inglese. Ho buone ragioni di credere che l'esibizione fu qualitativamente pietosa perché a livello tecnico eravamo veramente scarsi. Ma questo lo dico con la lucidità di oggi, perché allora l’idea non mi sfiorò minimamente. Provai un'emozione unica e irripetibile guardando quella piazza piena di gente che ascoltava una canzone che avevo scritto io. Era qualcosa che non avrei mai immaginato, ma era tutto vero e mi diede i brividi per giorni.

Nella seconda occasione, giù dal palco c'ero io insieme ad altre migliaia di persone. 7 novembre 2022, Palasport di Casalecchio di Reno (Bologna). Quel concerto di Cesare Cremonini aveva un significato molto più profondo di quanto io potessi immaginare: era il primo concerto nella sua città dopo la morte del padre. Quella sera ascoltai e cantai "Padremadre" a squarciagola, piangendo come un bambino. Volevo disperatamente trovarmi al posto di Cesare in quel momento, per poter cantare quella canzone davanti a mia madre, e per dedicarla a mio padre.

Non lo dimenticherò mai.

- Raccontaci l’iter del processo creativo che segui per la creazione di un brano e da cosa ti lasci ispirare.


Passo molta parte del tempo a prendere appunti mentali su mille pensieri che mi passano per la testa e, appena possibile, li scrivo su un blocco note. Ogni tanto lo riguardo e metto insieme i pezzi, il che mi aiuta a combattere un disordine atavico di cui sono artefice e vittima da sempre. Anche se devo dire che questa "tecnica" può rivelarsi inutile per quelle canzoni che, quando arrivano, ti prendono dritte allo stomaco tanto violentemente da farti tirar fuori tutto quello che senti in quel momento, ex novo. Sono quelle situazioni in cui il disordine diventa ordine senza bisogno del blocco note.

Ma sono l'eccezione, e chiunque scriva lo sa: ci vuole creatività e talento, certamente, ma soprattutto studio, esperienza, sensibilità e tantissimo ascolto di musica di ogni genere e fama. È per questo che non solo mi piace ma trovo anche molto utile quel tipo di ascolto “blender” in cui nell'arco di una giornata passo da Salmo ai Napoli Centrale, da Bob Marley a Indira Paganotto, e potrei andare avanti.

Mi lascio ispirare veramente da qualunque cosa.

- Parlaci del tuo brano “Psichedelica” di cosa parla e come hai trovato l’idea per scriverlo?


"Psichedelica" è forse nella top-5 delle canzoni che ho scritto con imbarazzante facilità. Si è scritta quasi da sola, esattamente 24 ore dopo la situazione che l'ha ispirata, non ho dovuto inseguirla come succede tante volte.

Nacque da una notte passata con una ragazza che avevo appena conosciuto, ma che nel giro di poche ore ha messo in crisi tutti i miei precedenti mesi di auto-analisi. In un amen, mi sono trovato nudo e disarmato di fronte a due situazioni con cui non avevo mai avuto a che fare negli ultimi anni: la prima era il confronto ravvicinato con una persona che senti essere profonda tanto quanto te, ed è una cosa che non mi capita spesso, anzi; la seconda era il non essere assolutamente pronto a sentirmi in balìa di un'altra persona, seppur appena conosciuta, in un momento della mia vita in cui avevo deciso di concentrarmi al 100% su me stesso e la mia musica. Queste consapevolezze mi hanno fatto star male ma la verità è che ho saputo convogliarle in una canzone come “Psichedelica”, che per me si è rivelata una medicina.

Credo che questo basti per capire cosa significhi per me scrivere e cantare ciò che scrivo.

- Descrivici il videoclip: che cosa volevi rappresentare e trasmettere con quelle immagini?


Era dai tempi del liceo che volevo riportare nella mia musica un po' di sano pop-punk, magari con un po’ di elettronica e di parole al miele. E credo che la rappresentazione visiva più efficace per queste canzoni sia proprio l'estate, gli sport acquatici, la festa. È per questo motivo che, a differenza dei primi due singoli di quest'anno, ho deciso di coinvolgere tutte quelle persone che ci sono nel videoclip. A livello artistico punta tanto su immagini dinamiche, d'impatto, cambi di inquadratura repentini ed evoluzioni spettacolari. Sono estremamente contento di ciò che è venuto fuori, grazie anche a tutte le persone che mi hanno aiutato a realizzarlo.

- Dove e come lo hai girato? Se ci sono, raccontaci degli aneddoti divertenti e curiosi sull’esperienza video.


Abbiamo girato tutto il video al Cablù Wakepark, una realtà presente a Bologna in cui si pratica wakeboard, prevalentemente, ma dove è presente una vera e propria community di ragazzi e ragazze che, oltre a condividere la passione per il wakeboard, sono anche un grande famiglia. Anche quelle volte in cui hai una giornataccia e vorresti andare al mare, sai che puoi andare lì a due passi da Bologna per trovare pace, relax, divertimento e amici.

C’è un aneddoto in particolare, ma che è divertente solo a raccontarlo perché sul momento è stato drammatico. Avevamo deciso di girare alcune riprese con una action-cam ancorata alla tavola da wakeboard. Sarebbero state riprese clamorose, se non fosse per l'adesivo del dispositivo incollato alla tavola che all’improvviso decise di staccarsi nel bel mezzo delle riprese, e la povera action-cam è affondata per sempre in un lago artificiale profondo 5 metri.

Non so se fossi più disperato io o il mio amico proprietario della videocamera...

- Come si struttura una tua performance dal vivo?


In questo momento sono sempre alla ricerca di piccole situazioni in cui farmi conoscere dal vivo in questa città. Avendo appena ricominciato a svelare le mie nuove canzoni al pubblico, mi trovo ancora nella fase in cui mi porto dietro solo una chitarra, un microfono e un quaderno. Avrei in repertorio tante canzoni, ma quelle che sono pronto a far ascoltare ad un pubblico più grande sono ancora poche; quindi, cerco sempre di aggiungere qualche pezzo degli artisti che amo, sia in italiano che in inglese che in spagnolo.

- Raccontaci una tua giornata tipo.


Se mi avessi fatto questa domanda sei mesi fa, avrei risposto “lavoro-mangio-dormo-replay”. Oggi ti direi che non ho una giornata-tipo vera e propria. Ho rinunciato mesi fa ad un lavoro full-time per un part-time, il quale mi ha restituito tempo ed energie che uso per fare letteralmente di tutto.

Durante una giornata penso tanto alla musica, è vero, ma ho una grande passione per lo sport in tutte le sue forme: pratico wakeboard, amo la pallacanestro, ma in generale guardo tantissimo sport in TV. Ho anche la fortuna di poter condividere il tempo libero e le serate con le splendide persone che Bologna mi ha regalato in questi anni. Essendo per natura abbastanza introverso, queste persone sono per me un dono enorme di cui sarò sempre loro grato.

Certo, le passioni colorano la giornata ma, abitando da solo, devo anche combattere quel disordine atavico di cui parlavo prima e tenere in ordine la mia casa. In quei momenti, però, ne approfitto per metter su qualche album che non ho ancora ascoltato, o per fare una telefonata a mia madre e avere qualche notizia dalla mia Catania.

- C’è qualche artista del passato da cui hai preso ispirazione?


In linea di massima, mi sento più in linea con gli artisti di questo secolo che dello scorso. Ed è indubbiamente una questione legata ai linguaggi artistici, ma probabilmente anche dovuta al fatto che ho ascoltato talmente tanta musica “datata” da aver continuamente bisogno di scoprire come questa si evolve intorno a noi, se parliamo di ispirazione.

Del passato, mi vengono in mente tanti artisti che mi hanno profondamente scavato dentro ma, se volessi restringere il mio personale Olimpo a tre artisti soltanto, ti direi: Rettore, Michael Jackson, e gli Articolo 31 degli anni 90-2000’.

- Come curi il look artistico?


È una cosa con cui mi trovo sinceramente in difficoltà, a dirla tutta. Sono personalmente orientato verso uno stile urban fatto di sneakers e cappellini. Ma ho talmente tanti, onestissimi dubbi sul mio senso estetico che spesso chiedo consiglio a chi mi sta vicino su cosa mi stia meglio o peggio.

C’è una cosa che non mi vorrei mai togliere ma che, ahimè, non è sempre opportuna: gli occhiali da sole. Se è vero che molte volte mi sento piuttosto fotosensibile, freudianamente ti direi che è anche un modo che la mia “introversione” trova per sentirsi al sicuro nella propria comfort-zone.

E poi l’occhiale da sole è anche molto figo.

- Se potessi rinascere in quale periodo musicale sceglieresti di vivere?


Sono cresciuto con il mito degli anni ’90. A causa della mia carta d’identità non li ho potuti vivere appieno ma ne ho sentita arrivare l’eco in maniera così prorompente da chi li ha vissuti, al punto da sentirmi come se li avessi vissuti tutti anche io. I grandi artisti degli anni ’80 avevano ancora qualcosa da dire, i loro successi erano ancora vivi più che mai, ma soprattutto stavano nascendo una serie di stili, generi, album e artisti formidabili che io non credo di avere mai percepito così concentrati in un solo decennio.

- Come gestisci l’ansia da prestazione prima di una performance?


Non so se si tratti di enorme fiducia in me stesso o semplicemente di totale incoscienza, ma fino all’ultimo minuto prima di un esame, di una partita, di un colloquio, di una performance musicale e di qualsivoglia altra situazione in cui abbia mai dovuto performare, non ho quasi mai percepito ansia da prestazione.

Nel caso specifico della musica, probabilmente non mi sono mai sentito sotto pressione perché quella è la comfort-zone in cui mi sento profondamente in pace con me stesso. Non ho mai fatto musica per piacere a qualcuno, l’ho fatto sempre e solo per me. Se le mie canzoni toccano l’anima di qualcun altro è senz’altro un trofeo inestimabile, ma prima di tutto devono toccare la mia, di anima.

Il giorno in questa cosa non avverrà più, allora mi verrà l’ansia.

Comments


Web Radio Italiane - Sede Operativa Web -  webradioitaliane@gmail.com   - Portale di Divulgazione Musicale e Radiofonica

©2015-2025  webradioitaliane.it               Portale senza scopo di lucro                 

  webradioitaliane.com

bottom of page