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Sanremo e il gioco discografico "meta-musicale"



Le principali major in gara a Sanremo
Le principali major in gara a Sanremo

Sanremo, ormai, e credo sia evidente a tutti, non è più solo il festival della canzone italiana, ma è una vera e propria impresa di marketing. Le case discografiche fanno a gara per accaparrarsi i cantanti da lanciare nella competizione cercando di aggiudicarsi la più ampia fetta di mercato possibile.

Un mercato che per l’industria musicale muove milioni di euro.

Il passo successivo è evidente: per Sanremo non serve una canzone, ma serve un prodotto. Si potrebbe obbiettare che è il brano stesso ad essere "IL" prodotto e, forse, questo potrebbe essere vero se vivessimo ancora in un mondo dove la fruizione della musica passa solo da radio e televisione, mentre oggi siamo circondati da un macrocosmo in cui il ruolo principale viene rivestito da social e piattaforme di streaming. Rispetto a queste ultime, ciò che cambia maggiormente l’idea di mercato musicale, sono i social, i quali sono soggetti che esulano completamente dall’idea di musica.

E’ un mondo meta-musicale, che va cioè oltre il concetto semplice di ascolto di un brano.

E’ un mondo fatto di immagini, vita quotidiana degli artisti, di relazioni apparentemente dirette con i propri beniamini, di “cuoricini”, di follow e unfollow. E’ il mondo di ciò che sta al di là della semplice composizione, è ciò che appare, tramite le immagini, dell’artista. Ecco allora che un altro tassello si aggiunge al lavoro discografico e di management degli artisti: l’immagine e l’apparire. Così la critica musicale scompare dai resoconti della stampa nazionale lasciando spazio ad articoli del tipo: “Tony Effe senza tatuaggi”; “Tony Effe con o senza collana”, “Che vestito indossava Elodie?”, “Ma quanto è bella Clara?” ecc… Ma ne sono sintomo anche i fisici statuari di Rkomi e Irama esibiti ad ogni occasione utile, la sensualità di Rose Villain, oppure le carnevalate dei Coma_Cose o il fisico dell'ex rugbista Olly. 

E la musica? Beh, nel Festival della Canzone italiana, la musica è solo un corollario.


In una piccola parte di questo video, in poche parole, Vessicchio ci mostra come siano cambiati i canoni di Sanremo (quasi subito rispetto alla storia del Festival). Fino al '66 si sceglievano prima di tutto le canzoni e successivamente la voce che le avrebbe interpretate. Oggi invece, per varie motivazioni, si sceglie il cantante (quindi l'immagine) e in un secondo momento la canzone (che dovrebbe essere la parte principale).


Qualcosa è tuttavia andato storto in questa edizione di Sanremo e, per alcuni di noi, lascia un barlume di speranza. Quest’anno c’erano tre cantautori che sono riusciti a scombinare un po’ le classifiche, fermo restando che arrivano comunque dopo la classica canzone sanremese oggettivamente insignificante cantata dal bellimbusto di turno. Questo ha fatto sì che Sanremo venisse guardato, almeno immagino, anche da persone che non si limitano all’ascolto della squallida top ten italiana di Spotify e che anche queste abbiano in parte votato. Aggiungiamoci alcuni che si sono riconosciuti o abbiano provato un minimo di emozione in queste tre canzoni e il gioco è fatto, le major perdono il dominio della classifica (tralasciamo il fatto che il voto di stampa e radio contava di meno?). Osservando anche qualche dato relativo alle case discografiche maggiormente presenti nella Top Ten di quest’anno e dei due anni precedenti, possiamo notare una maggior variegatura: le case discografiche indipendenti (Sugar Music per Lucio Corsi, Dueffel Music per Cristicchi e BMG per Gabbani) si ritagliano un bel 30% di presenza nella Top Ten, contro il 10% dell’anno scorso e il 20% del 2023, riuscendo a piazzare addirittura nella Top Five due cantautori.


La tabella mostra i primi dieci classificati negli anni (da sinistra a destra) 2025, 2024, 2023 e la distribuzione delle case discografiche Sony (azzurro); Universal (rosa); Warner (giallo) e le indipendenti (verde). Per la distribuzione abbiamo nel 2025: 40% Warner, 30% indipendenti, 20% Sony e 10% Universal. Per il 2024: 60% Warner, 20% Sony e 10% sia per Universal che per le indipendenti. Per il 2023: 40% Universal, 30% Sony, 20% indipendenti, 10% Warner.
La tabella mostra i primi dieci classificati negli anni (da sinistra a destra) 2025, 2024, 2023 e la distribuzione delle case discografiche Sony (azzurro); Universal (rosa); Warner (giallo) e le indipendenti (verde). Per la distribuzione abbiamo nel 2025: 40% Warner, 30% indipendenti, 20% Sony e 10% Universal. Per il 2024: 60% Warner, 20% Sony e 10% sia per Universal che per le indipendenti. Per il 2023: 40% Universal, 30% Sony, 20% indipendenti, 10% Warner.


Ma alla fine il gioco meta-musicale trionfa ancora, con Sony e con il management de “latarma”, soprannome creato da Fiorello anagrammando il nome di Marta Donà, forse la più influente tra i manager italiani. Da questo scherzo con Fiorello nasce il nome che raccoglie quattro vittorie su cinque anni consecutivi (fino ad oggi) a Sanremo: Latarma. Questo progetto fondato dalla stessa manager è praticamente il sistema perfetto che, oltre a raccogliere artisti emergenti da lanciare tramite la propria etichetta discografica, si occupa anche di tutto il contorno. Il progetto è infatti diviso in tre settori distinti ma strettamente comunicanti: Latarma Records, l’etichetta discografica vera e propria; Latarma Entertrtainment che progetta, organizza e produce eventi, mostre e spettacoli; Latarma Management focalizzata sulla gestione degli artisti. Questo sistema è in grado di rispondere a tutte le esigenze che circondano l’industria musicale, dove la vera e propria musica riveste solo uno spazio, una tessera di un puzzle dove la visibilità è data da un corollario di operazioni diverse. 

Allora forse i veri vincitori di Sanremo sono la Donà e il suo staff, la loro preparazione e la loro intelligenza. Sono riusciti a far passare una canzone che meritava si e no la metà della classifica, al primo posto, surclassando artisti più dotati e che sicuramente meritavano maggior attenzione. L’impresa è riuscita, ascolteremo ancora per mesi, non quello che volevamo ascoltare, ma quello che il mercato ha voluto che ascoltassimo.

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