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La via del successo è una traccia invisibile: “Shaolin” è il nuovo brano dell’artista StoneOne.

La persona in primo piano sembra essere seduta su un marciapiede ed il volto è nascosto da uno specchietto (probabilmente di un motorino). Lo sfondo è sui toni del grigio e questo riflette un contesto urbano, distaccato e anonimo.
La persona in primo piano sembra essere seduta su un marciapiede ed il volto è nascosto da uno specchietto (probabilmente di un motorino). Lo sfondo è sui toni del grigio e questo riflette un contesto urbano, distaccato e anonimo.

Nel panorama musicale contemporaneo emerge la figura di StoneOne, un artista che, con il suo nuovo brano Shaolin, ci invita a guardare oltre l’immagine, oltre la forma, fino a raggiungere l’essenza. Dietro ogni creazione artistica, ci ricorda, si cela l’origine, la verità primordiale che dà senso a tutte le cose.


Ispirandosi alla filosofia degli antichi monaci Shaolin, StoneOne esplora il potere della meditazione e della centratura interiore anche nel pieno del caos. Come loro, anche lui ricerca la pace nel rumore, il silenzio nell’urbanità, l’equilibrio nell’instabilità.


Questa serenità profonda nasce dalla capacità di annullare l’ego, di dissolvere la propria identità in una presenza più vasta e autentica. In un mondo urbano e distaccato, dove l’uomo non ha più controllo su ciò che lo circonda – né viceversa – Shaolin diventa un atto di resistenza silenziosa, un ritorno all’anonimato come forma più alta di unicità.



- perché hai scelto “Stone One” come nome d’arte?


StoneOne è uno pseudonimo che ho creato partendo dall’idea di ciò che si muove nell’ombra

in quanto è scopo dell’arte portare a conoscenza di ciò che è subliminale e nascosto: l’origine di ciò che emerge.

L’unione di masso in inglese e la sillaba -one

Come massoneria ed illuminati.

L’ombra è ciò che permette di dare volume

A ciò che si manifesta.

Il male assume una prospettiva migliore quando ne si approfondiscono gli aspetti fino a fargli perdere il potere di controllarti.


- di dove sei e come la tua città ti ha influenzato artisticamente.


Sono di Milano e questa città mi ricorda quanto siano presenti dinamiche sempre in movimento e quanto la realtà sia mutevole.

La conoscenza di ciò che può essere perso nell’essere in movimento mi ha portato al senso di non profanazione, al rispetto per le diverse strade.

Mi ha spinto a preferire un pensiero originale rispetto a chiedere agli altri di pensare come me.

Faccio notare poi come il cambiamento dell’ambiente non si svolge nel passaggio ad un altro ambiente, ma all’interno di uno stesso che coinvolge più situazioni.


- Raccontaci il tuo percorso musicale dalle origini fino ad oggi.


Ho iniziato il mio percorso nella musica suonando il sax contralto, ma è stata la passione per l’elemento orrorifico a spingermi verso forme di comunicazione meno comuni, più viscerali.

Una storia difficile da raccontare è una storia che resta.

È un incontro mancato con ciò che si manifesta in modo diverso, e proprio per questo la portiamo con noi più a lungo.

Il mio legame con l’hip hop è nato in gruppo, attraverso il freestyle: un mezzo che mi ha permesso di conoscere persone, situazioni, linguaggi.

Da lì ho iniziato a produrre musica sempre più centrata sul messaggio, sulla possibilità di espandere lo spazio come profondità, in un cammino che continua anche oltre l’incontro diretto con l’altro.

Nel tempo ho studiato la musica da più angolazioni: sound design, produzione, musicologia.

Perché l’idea prende sostanza quando le situazioni cambiano, e con esse le comunicazioni che viviamo dentro e fuori di noi.

Credo che l’ascolto di sé sia il primo passo per sviluppare storie che ancora non esistono nel mondo.

Tra le figure che mi hanno ispirato ci sono Salvador Dalì e Miles Davis, entrambi capaci di portarmi dentro la profondità di un sentimento che regge le parole, ancora prima del discorso.


👨‍🎨🎨 La persistenza della memoria di Dalì mi ha insegnato che il tempo va vissuto pienamente, fino a perderne la cognizione.

Quel sentimento sospeso, liquido, è la mia ispirazione nel presente.


Con il mio primo disco, SHAOLIN, ho voluto raccontare il cammino interiore attraverso l’unione tra jazz e hip hop.

Ho compreso quanto sia prezioso ciò che non abbiamo: perché è nella ricerca che si accende la passione, ed è attraverso di essa che ci avviciniamo a storie lontane, aprendoci a nuovi significati.

In un percorso vasto si moltiplicano gli aspetti che ci legano ad altre strade.

E in ogni strada c’è un frammento della nostra.


- Quando hai capito che fare l’artista era la tua strada? C’è stato un evento in particolare che te lo ha fatto comprendere?


Non ho mai visto il mio ruolo in quanto artista come una professione, l’ho sempre visto come una necessità: il significato che do alle cose mi porta a vedere quanta vita può esserci in una natura morta.

Quando ciò che è visto con valore può incontrare ció che non lo ha. La cura per ciò che mi circonda mi porta a spingermi al resto della vita, a crescere e di conseguenza a dare valore alle cose.


- Raccontaci l’iter del processo creativo che segui per la creazione di un brano e da cosa ti lasci ispirare.


Ciò che emerge nella vita è l’inizio, Noto ciò che non è ancora emerso come origine. Quest’ultima ha a che fare con lo spazio, con ciò che manca, come ciò che esisteva tra le linee di ciò che c’è stato e ciò che guarda il futuro: un orizzonte che crea prospettive.

La percezione è lo sviluppo di ciò che ho assorbito tra le linee di ciò che è nel mondo; non il mondo conosciuto, ma quello che ho osservato con un nuovo sguardo. Cerco continuamente l’effetto che mi produce la materia. La vita è un continuo flusso in movimento.

Mi ispiro ad aspetti della cultura giapponese, in particolare all’idea che lo spazio tra le cose sia ciò che permette la nascita delle storie. Come accade negli ideogrammi, dove le parole sono immagini: simboli che, attraverso la loro spazialità, dialogano con il pensiero, creando un senso simbolico e metaforico. C’è sempre qualcosa di più, qualcosa che resta non detto. L’ombra, in questo contesto, diventa simbolo di ciò che si muove oltre le cose, mutevole a seconda del momento: un segno di rispetto per l’attimo presente, nella consapevolezza che avrebbe potuto non esserci.

Creo musica a partire da una percezione che si trasforma in pensiero, e che a sua volta genera un nuovo clima, fatto di passaggi che modificano l’ascolto. I testi nascono dall’incontro tra molte storie, che sintetizzo unendo elementi diversi attraverso figure retoriche capaci di proiettare immagini.


- Descrivici l’album “Shaolin”, di cosa parla e come ti è venuta l’idea di tutto il progetto.


SHAOLIN


È nato da un momento in cui l’interiorità spingeva verso una consapevolezza più profonda, in contatto con il mondo esterno.

L’incomprensione ha generato una perdita di stabilità, nel rendermi conto che non bastava il significato che attribuivo alle cose nel mio pensiero: era necessaria anche la capacità di metterlo da parte per ascoltare il senso che le persone intorno a me davano alle loro esperienze.

Approfondendo i vissuti e le argomentazioni altrui, ho notato che si creava un ponte tra quei pensieri e quelli che avevo coltivato nella solitudine.

Conoscere storie diverse genera nuove esperienze, e la passione si apre a molteplici strade, fino a rivelare interessi in aspetti apparentemente lontani tra loro.

All’interno di un singolo interesse possono coesistere elementi contrastanti, come luce e ombra che, insieme, danno volume a un oggetto.

Quando comprendo che è proprio la parte che toglie stabilità a chiamare una comprensione più profonda, so che da lì inizia un nuovo cammino.

Questo disco parla dell’unione degli opposti.

Il mistero diventa parte integrante dell’opera stessa.

La parte meno stabile è spesso quella che non conosciamo, e l’ascolto ci guida nei dettagli.

Più troviamo senso in ciò che viviamo, più troviamo stabilità nello sguardo verso ciò che ancora non vediamo.

Questi due emisferi convivono in equilibrio nell’armonia musicale, come la tensione e la stabilità presenti in un accordo.


SHAOLIN è il nome che ho scelto per rappresentare questa unione degli opposti, come la descrive il Taoismo nella cultura orientale.



- Spiegaci il significato della copertina

dell’album e del suo inserto interno.


La copertina è l’immagine che racconta quanto il mistero di ciò che non è emerso dia importanza a ciò che emerge, come il cielo è sempre parte di un’osservazione che può non trovare fine.

Eppure è sempre presente.

lo sguardo tra il visibile l’invisibile.

I colori esprimono l’analogia e l’ossimoro su cui si basano i testi.

Sono presenti il blu e il giallo colori primari che sono interiorità ed esteriorità.

Il cielo esprime l’aspetto musicale basato sulla spazialità, su cui si basa lo stile cool jazz.

La tecnica con cui l’abbiamo prodotta con il fotografo Federico Ranieri mira a dare importanza a più prospettive presenti in uno sguardo.

L’inserto è un koan giapponese: un problema paradossale che si risolve senza l’uso della ragione, partendo da un sentimento rispetto a ciò che è già conosciuto per come l’abbiamo già visto.

Il rapporto con ciò che è sconosciuto per renderlo solo conosciuto genera violenza, tensione; la vita continua oltre ciò che abbiamo scoperto.

Il rapporto con ciò che è sconosciuto nasce dal desiderio di renderlo, almeno in parte, comprensibile, pur sapendo che una porzione di esso rimarrà sempre oltre la nostra portata, perché appartiene a un’altra vita, a un altro punto di vista.

È da questa consapevolezza che nasce l’amore: come interesse profondo per ciò che continua anche al di là di ciò che possiamo comprendere o raggiungere.

Quando produco, non esprimo semplicemente me stesso.

Attraverso la musica, do forma a un insieme di eventi, percezioni e movimenti che vanno oltre la mia individualità.

È un fluire che mi attraversa, più che un’affermazione personale.


- Che tipo di fruizione e influenza pensi possa avere sugli ascoltatori?


Penso possa generare il ponte di collegamento tra una storia che, con l’effetto che crea, porta alla costruzione di altre storie, connesse in modo differente dalla prima connettendo più racconti in una nuova esperienza.

L’effetto che spero arrivi non è tanto legato alla presenza dell’opera nel mondo, quanto alla possibilità che ognuno possa ampliarne il senso dentro di sé, il più possibile.

È lì che accade davvero qualcosa: nello spazio interiore dove il significato si espande e si trasforma.

Il piano terra è la percezione immediata, quella che poggia sulle fondamenta dell’esperienza.

Il rooftop è un’altra percezione: nasce dall’effetto di ciò che sta sotto, ma guarda oltre, in alto, verso ciò che ancora non è definito.

Le fondamenta generano altezza, e ogni strato è connesso, come livelli di consapevolezza che si riflettono l’uno nell’altro.


- Come si struttura una tua performance dal vivo?


Dal vivo c’è un momento fuori dal palco in cui prendo ispirazione e mi ricordo dell’ambiente che voglio trasmettere;

Sul palco racconto quanto l’ interiorità sia parte del mondo che viviamo fuori, è il fil rouge del disco; il resto è basato sul mistero.


- Raccontaci una tua giornata tipo.


Mi sveglio presto e ascolto il clima, la musica che ho in testa esiste, poi nel momento in cui penso al susseguirsi delle giornate e ogni giorno cerco di trovare altre novità possibili, in base a ciò che è il riassunto dei giorni passati.

Mentre penso a produrre sono nel silenzio.

Colgo la strada che non ho ancora preso e penso a che tipo di contesto si tratta.

Progetto il futuro, senza ciò che ho già visto.

Poi produco, ascolto degli LP, lavoro alla mia musica e al mio lavoro come tecnico audio, sound engineer, e music producer.


- C’è qualche artista del passato da cui hai preso ispirazione?


Prendo ispirazione soprattutto da Miles Davis. Il jazz mi ha portato a credere quanto si comunica senza le parole.

Le pause che possiamo prenderci sono espresse in musica la lunghezza dei suoni rende l’orecchio più aperto ai dettagli;

Sapere quanto possiamo smettere di ascoltare tante cose differenti e concentrarci su poche crea calma che agevola il pensiero.


- Come curi il look artistico?


È parte dell’estetica dell’arte che esprimo,

Il fuoco originario che è dato dall’ascolto ed è fare luce dove ancora è buio con le orecchie aperte a storie sconosciute attraverso lo sguardo percettivo che fa luce attraverso noi stessi su ciò che era oscuro e non ancora concepito.

I momenti che osserviamo sono i mezzi per conoscere nuovi momenti

I momenti che diamo per scontati come già conosciuti sono quelli che rendono piatto il momento.

L’estetica è basata sul mistero, il fuoco, l’acqua e una luce che si crea.

Prima ciò che è oscuro come una chitarra scordata; poi ciò che ci porta al mutare di una situazione nell’ immersione e poi nell’emersione.

Esprime chi sono lo sguardo su ciò che non si mostra.


- Se potessi rinascere in quale periodo musicale sceglieresti di vivere?


Anni ‘70 per il momento in cui si è diffusa la cultura sub urbana in tante aree del mondo con altre attitudini.

Il momento in cui in Inghilterra si è diffuso il concetto di musicista di strada con chi suonava il sax in metropolitana. Non è il primo momento in cui è apparsa questa caratteristica, ma il momento in cui inizia ad avere più diffusione.

A Milano è successo lo stesso con altre arti

come la pittura e la poesia.

La storia che si vive al di fuori dell’industria è all’origine del rapporto con la musica; il momento in cui si sviluppa un contatto con la musica a livello artistico in senso amplio quindi anche a contatto con la propagazione, come sapere che è nato dall’ascolto il rapporto che, poi come musicista ,si può avere con la musica, è tornare dove tutto è nato e vedere una nuova origine.

Artisti non conosciuti che costruiscono tanto nel mondo della musica al di fuori delle dinamiche dell’industria e dei media tradizionali che comunicano ciò che è già presente nel mondo rispetto alle parti indipendenti che ampliano il senso dando vita a parti prima marginali.

Come ciò che è successo in Francia durante la seconda guerra mondiale in cui c’è stata una diffusione del jazz al di fuori dell’industria che ha portato quell’area a vedere uno stile originale nel fare jazz che ha ispirato Miles Davis agli inizi della sua carriera.


- Come gestisci l’ansia da prestazione prima di una performance?


Prima di un live, mi ricordo quanto sia necessario esprimere l’emozione e trasmettere il messaggio nel modo più diretto e profondo possibile.

Mi tengo ben presente il concept delle tracce e il significato che portano: questo mi aiuta a focalizzarmi su ogni brano, lasciando andare tutto il resto.

C’è sempre un momento prima in cui mi isolo, mi stacco dal contesto, resto fuori dal rumore della situazione.

Cerco di non farmi influenzare da ciò che non appartiene agli ambienti interiori che sto per portare in scena.

Resto in contatto con il luogo in cui mi trovo, ma custodisco uno spazio mio, silenzioso.

Provo le tracce in anticipo, perché le parole possano scorrere in modo naturale, senza dovermi aggrappare a esse.

Solo così riesco a guardare oltre le parole, verso ciò che evocano: il resto dell’arte.

Il mondo che nasce da ciò che viene detto.


ree

1 commento

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Anna
01 ago
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