- di dove sei e come la tua città ha contribuito a sviluppare una tua sensibilità artistica?
Ciao a tutti e grazie per questa intervista. Il mio nome è Roberto, in arte Topeji, e sono nato a Gioia Tauro in provincia di Reggio Calabria. Ho vissuto nella mia città fino all’età di 19 anni per poi trasferirmi in Toscana e infine a Torino dove vivo ancora oggi. Sicuramente il luogo in cui sono cresciuto ha impresso dentro di me il fascino e la cultura della magna Grecia. Un posto bellissimo, ancora per molti versi circondato dalla natura grezza ma allo stesso tempo non facile in cui vivere. Tutto ciò ha plasmato il mio carattere alimentando la mia voglia di rivalsa tramite la musica. Avevo voglia di dare una svolta, un piccolo cambiamento che per quanto mi riguarda partiva sicuramente da quello che sapevo fare meglio: suonare e raccontare storie di vita tramite il rock. In adolescenza ho fatto parte di un gruppo progressive, i “The Hand”, trio composto da tastiera e voce, basso e batteria formato con due cari vecchi amici. Molto spesso amavo recarmi in spiaggia per comporre i testi e le musiche dei brani che amavamo suonare. Quel silenzio, il vento e l’infrangersi delle onde sulle scogliere era un serbatoio inesauribile da cui trarre ispirazione e ancora oggi penso a quei brani e a quell’esperienza musicale come l’inizio di tutto quello che è arrivato dopo.
- Raccontaci il tuo percorso musicale dalle origini fino ad oggi.
Ho iniziato all’età di 6 anni a giocare con il pianoforte. Ho quindi studiato fino alla maggiore età musica classica e questo ha sicuramente inciso positivamente sulle mie ambizioni di musicista. Formai i “The Hand” a 17 anni, mio primo gruppo rock con il quale mi affacciai alla musica che ancora oggi amo e vivo quotidianamente. Successivamente ai The Hand mi trasferii ad Empoli e lì entrai a far parte di tanti altri gruppi. Tra i gruppi di quel periodo che ricordo con più nostalgia ci sono sicuramente gli “StatoBrado”, classica formazione rock di 5 elementi con cui trascorsi delle bellissime serate anche al di fuori dell’ambito musicale. In quegli anni nacque il mio attuale progetto, “Topeji”, nome che sfruttai per associare la mia musica alla composizione di colonne sonore per il cinema e per lo spettacolo in generale. Finito il periodo toscano decisi di tornare a “casa” per completare i miei vecchi studi classici al Conservatorio di Reggio Calabria. Nel frattempo riuscii ad affinare le mie tecniche compositive nel mondo delle colonne sonore e a cominciare ad usare in modo più approfondito FL Studio, sequencer di composizione digitale. Vennero alla luce tante idee, troppe idee, talmente tante che finii per comporre un album di 65 minuti, 13 brani in totale che spaziavano dal genere progressive all’ambient, dalle colonne sonore fino al rock più puro. Il progetto Topeji aveva trovato la sua forma finale convogliando il lavoro e la passione per il cinema con la mia musica più profonda. Da quell’album a oggi sono trascorsi quasi 10 anni e, nonostante la mia vita sia totalmente cambiata, vivo perennemente l’estasi che solo il rock riesce a regalarmi. Continuo a comporre la mia musica, adoro il cinema e collaboro con diverse produzioni audiovisive per la realizzazione di musiche ad hoc, suono in un fantastico gruppo rock chiamato “The RoHs”, ho una bella famiglia e una dolce bambina di 11 mesi che mi stimola a tirare fuori sempre il meglio da ogni situazione.
- Quando hai capito di voler fare questo mestiere/di avere questa passione?
Grazie per la domanda. Ricordo ancora molto bene il momento esatto in cui tutta quella passione musicale investi il mio corpo e la mia mente. Racconto questo aneddoto dopo 20 anni e anche in questo momento riesco a percepire un brivido lungo tutta la schiena. Era il 2002, in quell’estate studiavo 15 ore al giorno per preparare il vecchio esame del quinto anno al conservatorio, sessione durissima che mi aveva consumato le energie mentali. Purtroppo il giorno dell’esame tutto andò male e, in preda all’impeto e alla rabbia, lanciai i libri dalla finestra del conservatorio giurando a me stesso di non toccare mai più un pianoforte per il resto della mia vita. Dopo qualche mese, mia madre mi convinse a conoscere un nuovo Maestro quindi decisi di andare a fare una “chiacchierata”. Quel giorno fu quasi mistico, Fabio si presento a me trasmettendomi immediatamente una dose massiccia di pace interiore. Lui capì esattamente cosa stavo provando in quel periodo e con un sorriso mi convinse a fare una prova per ritrovare quella passione che prima di allora non ero mai riuscito a percepire. Il giorno dopo mi presentai da lui con i miei libri (esattamente quelli che erano volati giù dalla finestra del conservatorio qualche mese prima), tirai indietro lo sgabello, aprii i miei spartiti, poggiai le dita sulla tastiera del pianoforte e dal nulla scoppiai in un pianto disperato, quasi liberatorio. Dopo quella secchiata di lacrime versate tutto il mio astio si tramutò in gioia e ogni fraseggio musicale, ogni brano affrontato sembrava un capolavoro ai miei occhi. Le stesse note che qualche mese prima sembravano dannatamente ripetitive avevano un volto completamente nuovo. Negli anni successivi continuai a studiare e a vedere la musica come mai l’avevo percepita fino a quel momento. Una persona a volte riesce a cambiare completamente il corso della tua vita e io, fortunatamente, incontrai la persona giusta che mi fece il regalo più bello che potessi mai ricevere.
- Raccontaci l’iter del processo creativo che ti ha portato alla creazione dell’album “Kamael” (da quando hai trovato l’ispirazione fino alla produzione finale) e perché hai dato questo titolo?
“Kamael” nasce nella mia saletta in Calabria, luogo dove amavo riunirmi con cari amici a cui piaceva assistere a questi momenti di “creazione”. Il nome deriva da un personaggio di un videogame, semidio da un’ala sola che amava vivera la propria vita lontano da tutti. Lo stesso nome è associato ad un angelo della mitologia cristiana, colui che espulse Adamo ed Eva dal paradiso terrestre conosciuto come l’ arcangelo dell’amore puro.
In quel periodo la mia psiche era in testacoda, instabilità dovuta a motivi sentimentali e al disagio di non riuscire a trovare membri validi per poter avviare un progetto musicale dal vivo che parlasse di questo personaggio. Decisi quindi di fare tutto da me scavando a fondo nelle mie conoscenze musicali e cominciando ad utilizzare in modo più accurato FL Studio. Trascorsi più di cinque mesi rinchiuso tra le quattro mura di quella stanza allontanandomi in alcuni casi da chi ai tempi voleva starmi vicino. A volte la rabbia era così tanta che passavo nottate intere a domandarmi del perché tutto fosse cosi difficile. Altre volte invece, anche le più piccole gioie mi davano una forza immensa per continuare a persistere su quella mia idea musicale. Brano su brano completai un intero album e in tutto questo trambusto, incontrai la mia amata Antonella che adesso è la mia fantastica moglie e mamma di Giulia. Grazie a lei gli ultimi periodi furono decisamente più rosei soprattutto dal punto di vista musicale in quanto era diventata la mia ascoltatrice di fiducia essendo una bravissima musicista. Era lei a consigliarmi e a guidarmi su cosa potesse funzionare di più e a mettere un freno alle mie ambizioni da “guastafeste”durante le giornate più uggiose. Il personaggio di Kamael si lega molto al Topeji di quel periodo. Lui era me e io ero lui. Entrambi abbiamo passato momenti davvero difficili per poi trovare la pace grazie al “cambiamento”.
- Descrivici brevemente di cosa parlano i brani all’interno della raccolta e quale filo conduttore li tiene uniti.
L’album narra di questo personaggio fantasy, semidio schivo e arrogante in cerca di gloria e grandezza. Dotato di ali e di poteri sovrannaturali, decide di aggiungere un nuovo pianeta alle sue conquiste. Si ritrova quindi a lottare con i nativi di questo mondo ma, accecato dalla sua sete di conquista, non si accorge di essere tradito dai suoi stessi compagni di avventure. All’apice della battaglia, riceve un colpo quasi letale da chi fino a quel momento gli era sempre stato vicino. Abbandonato e deluso, si concede al volere del pianeta che nel corso dei decenni successivi lo mette di fronte a svariate difficoltà per poi accoglierlo come protettore dei suoi stessi abitanti. Egli quindi acquisisce l’investitura di custode nonché il nome stesso del pianeta, Kamael. Un ultimo scontro lo attende proprio con chi decenni prima lo aveva abbandonato lì. Lotta come mai lo aveva fatto prima ma ciò non basta a placare la forza del suo antagonista. Cade rovinosamente per terra ma nel momento più vicino alla sconfitta riceve supporto da tutti gli abitanti del pianeta. Riacquista cosi i suoi poteri da semidio e un’ala con cui riesce a sconfiggere la sua nemesi e a riportare la pace. Dopo la vittoria, svanisce varcando la Porta del sole alle sue spalle.
Kamael ci dimostra come rimettersi in gioco, annullare sé stessi e le proprie convinzioni più profonde ci porta ad un processo di cambiamento fondamentale nel corso della vita di ogni essere vivente. Chi non riesce a percepire il “cambiamento” rimarrà recluso nella propria scatola di vetro. Ogni cosa in natura muta e si trasforma cosi come l’essere umano, cosi come ha fatto Kamael, cosi come ha fatto Topeji.
- Hai mai performato dal vivo e in quale occasione?
Se ti riferisci alle esibizioni live, ho avuto tante uscite con diverse formazioni anche in teatri importanti. Purtroppo non ho mai avuto il piacere di esibirmi col progetto Topeji, quindi per adesso Kamael è confinato al solo progetto privato. Nel 2015 cercai di coinvolgere qualche musicista per fare una piccola presentazione dell’album. Selezionai tre pezzi dei tredici previsti e feci una lista della strumentazione e dei musicisti che mi sarebbero serviti per poter riprodurre questi tre brani. Purtroppo il progetto non andò a buon fine per vari motivi e decisi di accantonare l’idea concentrando le forze su altri aspetti che riguardavano Topeji. Non escludo però che questo album possa essere suonato dal vivo anche se sarebbe un lavoro davvero importante. Si tratta di musica prettamente strumentale con grandi sezioni orchestrali di archi e fiati senza dimenticare la sezione ritmica. Per me, come immagino il restante mondo di musicisti, sarebbe un sogno poter dirigere i propri pezzi facendoli suonare ad una vera orchestra. Non un progetto facile ma non escludo l’idea che un giorno qualche pezzo di Kamael possa essere riprodotto dal vivo.
- Come si struttura una tua live?
Essendo un lavoro da solista e nato esclusivamente in studio non ho mai immaginato quale possa essere lo svolgimento e l’organizzazione di una mia live su questo progetto. Molto probabilmente avrei un bel muro di tastiere e sintetizzatori di fronte a me, il mio fedele PC, un’ottima scheda audio e ovviamente mi affiderei ad un bravo batterista e chitarrista.
- Raccontaci una tua giornata tipo.
Il tempo da dedicare alla musica in questo periodo della mia vita è estremamente limitato ma fortunatamente riesco ancora a ritagliarmi anche quella mezz’ora al giorno per potermi perdere tra note e fraseggi. La sveglia suona la mattina presto direttamente dalla piccola Giulia che con un bel “papà” urlato ci butta giù dal letto. Colazione, una bella passeggiata e poi un bel pranzo quando possibile. Nel pomeriggio mi aspettano le mie classiche 7 ore di lavoro e la sera, tornato a casa, una bella cena e tante coccole alla mia bambina. Dopo cena lei ci saluta e mi reco su in mansarda dove con un bel paio di cuffie riesco a dedicarmi finalmente alla produzione musicale. Le ore di sonno sono sempre poche ma il tempo per comporre e suonare si trova anche quando non c’è. Sforzo che vale sicuramente la pena di fare per non dimenticarmi chi sono e cosa voglio comunicare tramite la musica.
- Quale artista prendi come modello per le tue canzoni?
Il mio genere preferito è il rock progressive. Prendo spunto dai grandissimi gruppi del passato: Pink Floyd, Emerson Lake and Palmer, jethro Tull, King Crimson. Senza dimenticare ovviamente alcune eccellenze italiane come Le Orme, New Trolls, PFM. Formazioni nate negli anni 70 e che seguivano sempre lo stesso filone. Per quanto mi riguarda, questi gruppi ci hanno lasciato delle pietre miliari del rock che è giusto citare e ricordare per non lasciarle svanire nel nulla. Tra gli artisti più recenti il mio guru musicale è sicuramente Steven Wilson, cantautore inglese e fondatore dei Porcupine Tree. La sua bravura nel mescolare questo genere così spinto con sonorità pop lo rende unico e geniale. Tra i gruppi più contemporanei da cui traggo ispirazione posso ancora menzionare i Radiohead, John Frusciante e gli Opeth.
- Come curi il tuo look artistico?
Cerco di riprodurre la mia personalità portandola fuori anche tramite un vestiario dedicato. Il look tipico degli anni 70’ purtroppo è ben lontano da quello che oggi qualcuno riuscirebbe a concepire quindi cerco di portare un po’ di “cambiamento” mischiando uno stile classico a qualcosa di più contemporaneo. Camicia e sopra un bel gilet scuro, pantaloni strappati un po’ casual e scarpa rigorosamente rigida. Circa tre etti di anelli, qualche collana esoterica e una bella cintura vistosa. L’occasione poi fa il resto e variare tra uno stile e l’altro può essere sempre un’ottima soluzione per rimettersi in gioco anche sotto questo punto di vista.
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